martedì 8 marzo 2011

8 marzo, festa della donna. Punto della situazione

Sono passati 103 anni dal giorno in cui le operaie della Cotton di New York morirono nell'incendio della loro fabbrica, e da quando quella data è diventata la festa della donna siamo riuscite ad ottenere qualche progresso nella parità di diritti e doveri fra uomini e donne. Ora, nel mondo occidentale, parliamo di pari opportunità fra uomini e donne mentre nel resto del mondo vi sono molti posti dove si combatte ancora  per ottenere il riconoscimento minimo della dignità della donna.

Mentre le donne occidentali combattono per cambiare quella mentalità maschile che tende a dare meno importanza al lavoro di una donna rispetto a quello di un uomo e a preferire, nei posti di responsabilità, degli uomini abbiamo al nostro interno delle enclave di donne che sono ancora al livello massimo di dipendenza dall'uomo, come ad esempio le donne islamiche o alcune che vivono nei luoghi meno aperti alla civiltà della  penisola.

Una volta ottenuti i diritti, quindi, rischiamo di soccombere ad un retaggio culturale che non è il nostro, solo perché pare che la lotta si sia fermata.
Ora le donne festeggiano la festa della donna andando nei locali a vedere gli spogliarelli maschili, come se il fatto di poter vedere un bel ragazzo nudo, una volta all'anno, fosse una conquista di pari opportunità fra uomo e donna.

Per superare gli ostacoli che il mondo della politica mette per le donne, si è costrette a ricorrere alle quote rosa, cioè a scrivere delle leggi che obblighino a formare le liste elettorali con una percentuale obbligatoria di donne, solitamente almeno il 20%.
In alcuni paesi, le quote rosa hanno funzionato e hanno incrementato la partecipazione delle donne alla amministrazione della cosa pubblica ben oltre il 20% obbligatorio.

In Italia una legge sulle quote rosa nelle liste elettorali rischierebbe di trasformarsi in una presa per i fondelli, a causa  della mentalità maschile che porta gli uomini  a votare non tanto per le capacità di una donna, quanto per il suo aspetto fisico.

Quel 20% obbligatorio sarebbe presto riempito da starlette o da donne che non disturbano il manovratore, ma al contrario lo allietano.
Inoltre le donne che si occupano seriamente di politica in Italia sono fieramente contrarie alla obbligatorietà della percentuale di quote rosa, perché hanno un certo sapore di "riserva Indiana" o di "protezione di una specie in via di estinzione".
Le donne che intendono costruire qualcosa credono che l'unico modo di poter vincere quella che è oramai una battaglia culturale molto sottile sia farcela da sole senza aiuti, favoritismi particolari o quote rosa.
E' una battaglia in cui le donne non sono unite, perché la percentuale di quelle che scelgono la "via facile" cercando di ottenere dagli uomini al comando riconoscimenti di carriera tramite meriti diversi da quelli professionali sono comunque tante.

Esiste poi una questione professionale femminile, in un paese in cui il 40% delle donne lascia il lavoro e la professione per seguire esclusivamente i figli e che ha poi delle enormi difficoltà, una volta che i bambini sono diventati grandi, a reinserirsi nel mondo del lavoro e a ritornare a guadagnare uno stipendio che possa renderle economicamente indipendenti.

Non si tratta solo di garantire posti negli asili nido, che sono utilissimi, che spesso prosciugano, con il loro costo, il reddito della mamma lavoratrice rendendo antieconomico il lavoro stesso.
Si tratta piuttosto di garantire i rinserimenti dopo la maternità anche in nel lavoro autonomo e di aiutare a creare una rete di lavoro flessibile e professionale che vada oltre ai diritti riconosciuti alla lavoratrici dipendenti dalle grandi aziende, ma che valorizzi l'esperienza e la creatività nel creare reddito familiare che hanno le donne, che possano creare anche entrare basse, ma che aiutino a ricreare la professionalità dopo periodi in cui non si è lavorato.

Nessun commento:

Posta un commento